venerdì 16 aprile 2010

Si chiama 'Prendere musate. Rialzarsi.'.

Tutto inizia nel momento in cui devi mettere gli oggetti in borsa.
É di fronte all’ennesima cerniera da riuscire a chiudere senza che si rompa che inizi ad avere il groppo in gola. E quando si tratta di una borsa con ciliegie pagata 15 dollari in quel di San Diego l’impresa è ancora più ardua.
Lo stesso documento che è sulla carta d’imbarco, i medicinali giusti. Lascia il cappotto da generale, prendi la giacca da tennista. Gli oggetti che avevi all’andata, più una forma di forma di pecorino per i coinquilini.
Ma son passate tre settimane e le idee sono confuse. Tre settimane in cui non è chiaro che cosa sia successo.
Il groppo in gola aumenta, l’ansia prepartenza, l’ennesimo lasciare-salutare. Dopo tre anni di nomadismo dovresti iniziare a essere abituata, no? No. Ti rassegni, sembra che tu sia destinata a non avere una casa. Del resto Elena, inizi ad avere una certa età, una stabilità sarebbe bene che tu te la creassi. E invece no.
Time out, suona il campanello. Ultimi saluti, stipare la borsa nella forma. “Does your handbag fit here?” Assolutamente no. Ce la metto a forza e al momento di levarla la forma viene via con me. Metterti tutto addosso per rendere il bagaglio più leggerlo e poi levarti tutto per passare i controlli. Leva, metti, leva, metti.
Segue l’incontro con uno strano personaggio. Mi sorride al momento del controllo passaporti, mi chiede di dove sono. “Do you want to be my trip friend? Il viaggio sarà meno lungo e noioso e io non voglio che nessuno che non mi piace si sieda vicino a me”. Un po’ scettica, accetto. Non ho nulla da perdere del resto. Ci immergiamo nelle chiacchiere, lui beve Brandy, è un cantante Soul di rientro da una settimana intensa di registrazioni in uno studio a Lari, in mezzo al verde della Toscana, di cui adesso ha nostalgia in un modo decisamente convenzionale. “The green landscape! Caffé corretto, bello, bellissimo!” Per tutto il viaggio, ogni 20 minuti, grida “Caffé coretto!” e ride. Rido insieme a lui.
Sembra essere decisamente famoso, ma ne so troppo poco di Soul per riuscire a valutare la cosa. Quasi ne sono felice. Non si toglie gli occhiali perché i suoi occhi sono troppo rossi. Non ha dormito per sei giorni. Ha preso il sole con il cappello e ha una buffa riga rossa sulla fronte.
Le mie ore di sonno non sono poi tante di più, le mie labbra screpolate, indosso il cappuccio della felpa perchè ho avuto il tempo di lavarmi solo la frangia. É decisamente interessato alla mia figura, chi sono, cosa faccio, che musica ascolto. Alterniamo lo scambio di informazioni, ridiamo dei personaggi assurdi che ci circondano. Mi chiede se ho il ragazzo, gli dico di no, faccio una faccia che lo induce a chiedermi se sono gay. Gli dico che ho una moglie, ma non lo sono. Chiede ancora. Sembra non capire come sia possibile. É sposato con una ragazza di Hong Kong da sette anni, ma gli piace divertirsi, lei è gelosa, lui deve bere di nascosto. Non dico nulla, non mi sembra che ci sia niente di sensato da dire.
Atterriamo, felici che il popolo inglese – più discreto di quello italiano – non si abbandoni ad applausi di gratidutine. Arrivamo ai saluti – Ti aggiungo su facebook, è stato bello viaggiare con te, rimaniamo in contatto, se avessi già il mio autista privato (come avrò tra un anno) ti porterei io a Dalston. Grazie di tutto.
Vado per la mia strada, che significa Terravision, contenitore della peggior combinazione di italiani all’estero. E come sempre ne esco nauseata.
Segue la ripresa della vita londinese con lo straniamento di tutto quello che ci si può dimenticare in tre sole settimane. La metro è più sporca, la gente più di fretta, gli adolescenti vestiti meglio, i poveri più poveri. Io un po’ più sola.
Serate arenate su divani, mentre intorno tutti si muovono, anche troppo. E il giorno dopo il tracollo, vulcani eruttano al momento sbagliato, voli vengono cancellati, stomaci si ribellano, le forze se ne vanno. Ciondolo tra il cesso, il letto e il sito di Gatwick. Sarebbe semplicemente una giornata di merda, se non fosse il mio compleanno. Migliaia di auguri. Mille giorni come questo! Macolcazzo.
Brucio una pentola, Martin mi prende per il culo. “Hai un aspetto di merda! Che ti è successo? Oggi faresti bene a metterti a letto e non muoverti, tanto qualunque cosa fai, fai un danno”. Come dagli torto. Puzzo di plastica bruciata ovunque. Per un attimo penso che sia il mio cervello che ha preso fuoco. Mi addormento.
Mi sveglio dopo 20 ore. I miei arti sono anchilosati, da tanto son stata nel letto. C’è il sole a Londra. Forse oggi le cose andranno meglio.
Apro la porta di camera, rimango bloccata, scotch ovunque. Rido. Grazie Martin.


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